Autore: Andrea Bajani
Editore: Feltrinelli
Valutazione: 4,5/5
Quante case abbiamo abitato nella nostra vita? Quante ne abbiamo frequentate? È possibile raccontare la storia di ognuno di noi dal punto di vista degli spazi che abbiamo occupato? È questo l’esperimento, riuscitissimo, di Andrea Bajani, che scrive un libro originale e curato: un libro che si traveste da testo descrittivo ma che invece sa sondare, e farci sperimentare, emozioni profonde e intense!
Il numero di case descritte è molto grande. Si parte dalla Casa del sottosuolo nel 1976, casa nella quale abitano Io (protagonista in terza persona), Madre, Padre, Nonna e Sorella. I personaggi infatti, descritti dal punto di vista delle case, perdo qualsiasi riferimento al nome proprio e si distinguono soltanto per qualche piccola sfumatura (comprendibile ad oggetti inanimati come le nostre dimore).
“La stanza da letto dove dorme il bambino, che per convenzione chiameremo Io, è in realtà uno sgabuzzino con una brandina. È un po’ umido, come del resto tutta la casa. Non ha finestre ma è confortevole ed è vicino alla cucina.”
Le case si alternano ed il racconto non procede in linea retta: seguiamo così Io, la sua famiglia di origine e quella che costruirà con il matrimonio, avanti e indietro nel tempo. Potremo osservarlo a Parigi, ancora ragazzo; nella casa che la sua famiglia utilizzava per le vacanze; nell’appartamento della sua amante (Casa dell’adulterio); in una stanza d’albergo a Londra dove incontra un vecchio amico (Casa dell’adolescenza che ritorna); a Torino. Assisteremo al mobilio che viene spostato da un appartamento all’altro, finché non sarà poi abbandonato…
I luoghi dunque raccontano una storia o meglio un pezzetto di una storia. È soltanto mettendo insieme questi pezzetti che possiamo dare senso ad una vita. Ma spesso, questa nostra tendenza al mettere insieme, questa visione unitaria dell’identità e della vita, ci fanno perdere altri pezzetti… La nostra è un’illusione di continuità, abbiamo la sensazione che tutto sia coeso e ben saldato insieme, ma le case (o gli oggetti con i quali siamo entrati in contatto) potrebbero raccondare una storia diversa, ricordarci di pezzetti che abbiamo invece dimenticato o che abbiamo dato per scontato finché non li abbiamo rimossi…
“Io, Moglie e Bambina sono sempre loro, ma ora hanno un unico cognome al campanello ed è in ottone. È quello di Io, promosso a patriarca, o meglio alla rappresentazione di una tradizione altrimenti inapplicabile a una famiglia messa insieme con pezzi di solitudine e di scarto. Ad ogni modo non ci crede del tutto Io – a quella tradizione – e forse non ci crede davvero neanche Moglie, ma piace a entrambi, rassicura e infonde quel po’ di motivazione funzionale a un progetto che comincia.”
Inoltre le case hanno il vantaggio di sopravvivere ai loro proprietari e di poter ossevare i nuovi Occupanti; ma, anche in questo caso, non è detto che il cambiamento apporti una reale differenza…
A questo punto siamo curiosi di scoprire cosa accadrà nei prossimi due mesi!