Il martello nella testa

Autore: Stefano Fortelli

Editore: Helios Edizioni

Genere: Poesia

Data di pubblicazione:

Pagine: 72

Prezzo: 12,99€

Valutazione: 5/5

Ecco, benvenuto, il nuovo libro di poesie di Stefano Fortelli (“napoletano sui generis”, come si definisce): “Il martello nella testa”.

Scrivo “benvenuto” perché un altro volume da me recensito, L’ULTIMO GIORNO – VERSI DALL’ALDILA’, ha dato voce egregiamente – a mio parere – ad un mal de vivre dello scrittore, sì, ma di levatura universale, così simile a quello dei tanti che, come me, hanno una visione ed una storia esistenziale sofferta.

Già la prefazione, a cura di Paolo Itri, nel ricordare la genesi ed il successivo rapporto di amicizia, spiega molto efficacemente il ritratto del ritrovato amico d’infanzia e la folgorante bellezza dei versi approcciati.

Ne Il martello nella testa Fortelli torna a indagare certi abissi dell’anima, e lo fa alla sua maniera, con toni spesso ermetici, decadenti, a volte persino squilibrati, ma sempre ispirati e ricchi di dolente espressività”.

Questa è la summa delle sensazioni che il Poeta, dolente, partecipa al lettore o, meglio, imprime sul foglio bianco per un bisogno soprattutto personale, poi manifestato a chi vorrà capire i versi scaturiti, quasi sempre, da un certo, forte, disagio esistenziale.

“Arriva la stagione in cui si perde la leggerezza. Quando resta poco asfalto da poter divorare e ci si rassegna all’idea che le cose, fuori e dentro di noi, non possano cambiare.

Ci osserviamo e osserviamo il mondo con le sue brutture, inermi, dal braccio della morte, mentre batte incessante nella testa un martello. E arriva il momento in cui rischi di impazzire, quello in cui l’unica salvezza è gettare su un foglio bianco le frequenze di quel battere.”

“Le scriviamo in bilico

tra la vita e la morte

per chi non leggerà”

Ma non si creda che sia un crogiolarsi nella difficoltà e nella sofferenza (troppo spesso e molto ignorantemente, si pensa questo dei poeti).

Che poi la sofferenza affini le migliori qualità di giudizio, di selettività, di vero e proprio fastidio dei luoghi comuni, questo è certo; ma è ben altra cosa! Rimane il margine di pensiero appena necessario per non impazzire….

E, a proposito, Fortelli quasi giocosamente, celebra i suoi cinquantacinque anni con un salvifico pensiero:

“Ora, senza contraddittorio,

turbamenti né rimpianti,

mando affanculo il mondo.”

La nostalgia di certi momenti speciali si fa gesto, stappa un vino riservato per quelle occasioni, e se ne beve la significativa trasformazione in aceto che

“rammenta quanto bugiardi siano il tempo e gli affetti.”

Perfetto, nel tentativo di spiegare a chi si ostini a non capire il disagio, il componimento: Due anni

“Dicono, che a credere di essere

infermo, ci si ammali per davvero

Ma io non volevo ammalarmi:

questo stesso giorno di

due anni fa, volevo morire.

Da allora non c’è stato giorno

in cui non lo abbia sperato

Sono ancora qui che aspetto

e solo mi consola il fatto

che di questi anni, non

mi resti alcun ricordo.”

Ed ancora:

“Guardo con tenerezza
quelli che ancora oggi
mi dicono che devo cambiare

Ti ricordo con affetto
e ti rivedo aliena, mentre
mi tratteggi a modo tuo”

Anche le più comuni occasioni di convivialità hanno un retrogusto di tristezza quasi fisica, così evidente, ma così ignorata dai più… Un palco di paese è lo scenario di noi che

…”arrugginiamo all’umido

di una breve stagione”

Può essere una posizione d’elite, non si esclude, ma certamente è più un genuino rispetto del dio mare e della magnifica esperienza dell’immersione nel meraviglioso fluido – placenta, a volte amico, altre meno…

“Li vedi accalcati tra la riva e il bagnasciuga

Restano ammollo in mezzo metro d’acqua
a proclamare il loro amore per il mare
Schivo il blàterio di quei corpi ineducati;
mi piace immergermi e lentamente allontanarmi:

nel fruscio dell’acqua sentir la civiltà svanire

e dalla boa osservare quel termitaio scoperchiato

mentre il vero amore, assaporo compiaciuto.

Proprio a bandire le facili definizioni di poeta “compiaciuto” nel sofferto cammino, a metà tra spinta vitale ed ironico proclama:

“Non sarò più fedele:
fedele al copione
o al personaggio
Annuserò i genitali del mondo
per accoppiarmi finalmente alla vita”.

L’amore, poi, l’amore è conosciuto nella sua tempestosa essenza, che può essere un istante di vita o lunga presenza nel ricordo

“…Mi chiedo se, come una pioggia

qualunque, ti dimenticherò

o con il passare del tempo

diverrai come il ricordo di

quella tempesta, che fece

tremare i pali della luce e

mi lasciò una lunga notte al buio.”

Meraviglioso e drammatico il ricordare ed esprimere il doppio nodo di un’amore così profondo ma così lucido, da arrivare al lettore come un pugno nello stomaco:

“Mi preoccupavo che si divertisse

La portavo al cinema, a ballare,

alle cene con gli amici

Mi presi a cuore

la sua natura inquieta

Le cliniche, le cure, i luminari

Era una pianta troppo delicata

per queste latitudini.

La vidi sfiorire in fretta

e mi toccò occuparmi

della sua sepoltura

In punto di morte

non seppe dire altro che: “grazie”
A me, il suo carnefice.”

Noi tutti, in fondo, non siamo che questa labile permanenza nel breve circo terreno…

“E si finisce con l’inaridirsi
si finisce con il somigliare
a questa nostra terra
Fragili strutture, che
lasciano cadere la cenere
con un meccanico gesto dell’indice.”

Tenera, figurata e tutt’altro che infantile:

“Mi domando quale sarà l’ultima che scriverò
Ogni volta me lo chiedo
e premo forte sui tasti
come se lo fosse per davvero.”

E mi trovo profondamente in sintonia con il conclusivo pensiero, che sembra di una violenza aberrante, ma non lo è affatto se si legge il simbolo e non il letterale dettato:

“Amo chi osa scrivere morte,
ne amo l’assoluta verità
Agli altri imbrattacarte
non mi resta che augurarla.”

Termino con un altro passo della prefazione:

Il disagio esistenziale, che intride fortemente i versi di Stefano Fortelli, ha molto di misterioso e di inespresso, eppure, nella sua inspiegabilità, ci avvicina a un possibile contatto. Nonostante tutto, in un mondo che sembra non conoscere pace né amicizia, resta il tentativo, per chi vive in un equilibrio precario, di darsi la mano e di scambiarsi un gesto di umana comprensione” .

Proprio così.

Buona lettura!

Daniela Guccio

Le letture di Adso

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