I leoni di Sicilia

Titolo: I leoni di Sicilia

Autore: Stefania Auci

Editore: Nord

Genere: Romanzo storico

Data di pubblicazione: maggio 2019

Pagine: 452

Valutazione: 5/5

La scrittrice Stefania Auci in “I leoni di Sicilia” ci fa conoscere la storia di una famiglia del sud: i Florio, ma anche lo spirito di una città e di un’epoca a cavallo tra il 1799 e il 1865. E lo fa in un modo splendido, con una scrittura lineare, matura, piena di passioni e di sentimenti, capace di tenerti incollato al testo per ore. La storia mi ha coinvolto fin dalle prime pagine e ho dovuto reprimere l’impulso verso una lettura veloce che mi avrebbe portato presto alla sua conclusione. E’ una storia dura che ha però il respiro della grande storia e che mi ha riportato alla mente i grandi romanzi del periodo verista. Ed è stata una giovane scrittrice a creare tutto questo! Non ha importanza se la scrittrice ci avverte in chiusura che è “la sua storia” lasciando intendere di essere intervenuta in momenti in cui la ricostruzione non era possibile, a noi non interessa la cronaca fedele che pure c’è, ma l’atmosfera che è riuscita a farci vivere. Come potremo dimenticare la forza e la vitalità dei suoi personaggi, il fascino di una città come Palermo aristocratica e plebea, la disperazione del suo popolo ora arreso ora battagliero?

E così conosciamo Paolo e Ignazio Florio che, dopo il terremoto, lasciano Bagnara Calabra per inseguire un sogno: migliorare la loro misera vita. Giunti a Palermo apriranno una “putica” di spezie, l’aromateria, e con la forza che dà loro il sogno di realizzare qualcosa di grande arriveranno al commercio dello zolfo, creeranno una loro compagnia di navigazione, insomma cominceranno a vedere i frutti della loro fatica, ma sarà Vincenzo, figlio di Paolo, vero genio imprenditoriale che andrà oltre il contingente, oltre il suo tempo. Ecco che da un vino povero, il Marsala, ne farà un vero liquore apprezzato anche fuori dalla Sicilia. A Favignana rivoluzionerà la lavorazione del tonno sotto sale e produrrà il tonno sotto olio, creerà una società di battelli siciliani, e tanto altro ancora e quando qualcuno rimarcava la sua intraprendenza diceva che se qualcuno non iniziava a pensare in grande la sua isola sarebbe rimasta ferma per sempre. E chi lo invitava a fermarsi rispondeva “Sai che si dice a Palermo? Dunam tempu dissi u’ surci a’ nuci ca ti percio. Io non sono uno che  molla”. L’inserimento di parole dialettali sono tante ma non mi sono sembrate forzate anzi hanno dato una certa musicalità al testo oltre a rendere più veri le conversazioni e le ambientazioni. Nonostante l’ascesa economica dei Florio, l’aristocrazia palermitana continuava a disprezzarli chiamandoli u’facchino, u’ putiari. Sono  anni difficili che vanno dal colera ai moti di Palermo, allo sbarco di Garibaldi che consegnerà l’isola ai Savoia.

Palermo si trova schiava padrona, che pare vendersi a tutti ma appartiene solo a se stessa, si ferma sulla soglia di un futuro denso di incognite”.

Nè sarà d’aiuto l’aristocrazia che soffre per il suo irrigidismo che la porta a mantenere i suoi privilegi e un’economia basata ancora sul latifondo. Vincenzo invece ha la visione del futuro, è l’uomo moderno che farà lavorare le donne nelle tonnare, che porterà nuove tecnologie dall’ Inghilterra ed è uomo moderno anche nel privato con la sua storia d’amore con Giulia a cui non dirà mai una parola d’amore ma di cui ha un estremo bisogno come l’aria che respira.

Avrei voglia di raccontare ancora tante cose su questo splendido libro ma è meglio lasciarvi la voglia di scoprirle da soli, per evitare di spoilerare trapppo.

Le letture di Adso

Lascia un commento

Torna in alto